“Come per tutti i miei film, fondamentale è stata la scrittura, sin dal soggetto – esordisce Paolo Genovese – ringrazio Paola Mammini, che mi ha illuminato sulla parte femminile del racconto. Oggi è praticamente impossibile scrivere soggetti originali, perché tutto è stato già scritto e realizzato! L’originalità sta nel punto di vista del racconto, nell’andamento delle storie o nella caratterizzazione dei personaggi. Ma anche nel cercare finali diversi, aperti, come in questo caso. Lo spettatore è portato ad interrogarsi su quale sarebbe stata la sua scelta al posto del protagonista: chi avrebbe scelto tra la figlia e la donna della quale è innamorato?”
“I figli sono pezzi ‘e core, come dicono a Napoli, ma io mi sarei portato a casa la Gerini, perché la carne è debole!”, scherza il protagonista Marco Giallini, che nel raccontare il suo personaggio, sottolinea: ”Non sono certo uno che va in analisi un anno per fare un film. Ho tentato di caratterizzare Francesco vedendo alcuni film e leggendo molto. Insieme a Paolo, abbiamo deciso che avrei dovuto camminare con i piedi a papera, dinoccolando ancora di più di quanto faccio normalmente. Gli ho conferito una goffaggine che non mi è propria. Però, una persona così pacata vorrei tanto averla come amico…”
Dunque, nessuno rapporto con l’analisi? “Il mio rapporto con l’analisi è praticamente nullo, anche se avrei dovuto tentare. Non l’ho mai fatto per rispetto alla mia timidezza. Non saprei che dire, mi vergognerei… ne ho combinate troppe nella mia vita! Alla fine, troverò una psicologa carina e simpatica, e l’approccerò presto”.
“Quello che mi divertiva, era raccontare il ‘diverso’, rispetto a un genitore. Questo, perché per soggetti non coinvolti in situazioni come queste, è sempre molto facile accettare e fare i democratici – prosegue il regista – mi ha aiutato il tempo di riflessione durante la stesura della sceneggiatura e il pesare ogni singola parola che poi, sul set, ci tengo che non sia modificata. Proprio perché è frutto di un immenso lavoro.”
“Quando mi è stato proposto questo ruolo, mi sono entusiasmata perché, quella di Sara, era una diversità estrema: una donna omosessuale oramai risolta, che ha combattuto per imporre le sue scelte e che ora vuole tornare etero. Una donna che deve fare appello a tutta la sua tenacia, per raggiungere quella felicità della quale sente di avere diritto” – svela Anna Foglietta.
“Nell’interpretare Marta, mi ha incuriosito il fatto di mettere in scena il rapporto tra una ragazza udente e un sordo – racconta Vittoria Puccini – Finché non ci siamo trovati a lavorare sul set, non era così evidente come lo avremmo reso cinematograficamente. Lo sguardo… la fisicità e i gesti hanno sostituito la parola, creando grande intimità tra noi, e trasformando tutto in qualcosa di magico. Personalmente, ho riscoperto il valore del silenzio. Quanta emozione e quanta energia ci può essere dentro… un silenzio!”.
“Io sono l’unica ad aver sostenuto un provino, anzi… tre! la mia Emma è piena di vita e sottolinea il divario tra una ragazza di vent’anni, che crede ancora in tutto, e un uomo di 50, che, al contrario, ha tanta esperienza e non crede più a molte cose” – puntualizza Laura Adriani – Il padre è l’unico vero, grande amore di Emma che cerca un abbraccio per tutto quanto il film. Riceverlo, rappresenta la sua personalissima vittoria”. “Paolo mi ha offerto un ruolo diverso da quelli che ricopro normalmente – confessa Claudia Gerini – una donna pacata, che all’inizio si vede solo nella fantasia o negli occhi del protagonista, che ne idealizza l’amore. Io, in genere, interpreto personaggi più vitali; questa è una donna elegante, osservatrice… il che le permette di riflettere sulla sua vita, per capire se il suo rapporto con il marito ha veramente un senso”. Da non sottovalutare, infine, la forte presenza di una città, che è personaggio tra i personaggi. “Amo profondamente la mia città – ammette Genovese. Il centro storico di Roma non è mai stato raccontato fino in fondo. Anche Allen non ci è riuscito in tutto e per tutto, per problemi logistici, di permessi e di viabilità. Il mio tentativo è stato di riportare la capitale al centro di un film. Quando si va all’estero, c’è grande sete e curiosità della nostra città. Ci sono delle vie che per noi possono sembrare molto banali, ma che quando le vai a raccontare, ti regalano scorci e inquadrature magici.” “Noi diamo troppo per scontata la nostra città – concorda Giampaolo Letta, Amministratore Delegato e Vicepresidente di Medusa Film – non ci viene naturale valorizzare quello che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Gli elementi che hanno maggiormente apprezzato negli Stati Uniti ne ‘La grande bellezza’ di Sorrentino, sono state proprio le immagini di Roma.”E conclude con un commento sull’aspetto produttivo del film: “rinnovare la collaborazione con Paolo Genovese è stato per noi un fatto estremamente positivo. La storia ci è piaciuta subito, e si è via via impreziosita con la scrittura degli attori. Il film è costato 6 milioni di euro che, consentitemi di sottolinearlo, si vedono tutti! In un momento del genere, una ricchezza produttiva che riguarda ambienti, musiche e tutto ciò che rende spettacolare un film è fondamentale per realizzare un prodotto che abbia tutte le carte in regola per fare bene”.